Il Cerro Piergiorgio non ha forse la fama planetaria del Cerro Torre o del Fitz Roy, ma ha una storia alpinistica notevole: negli ultimi decenni ha visto diverse cordate cimentarsi sul suo granito, in particolare sull'ambita e impressionante muraglia della nord ovest. È una meta più recondita e meno frequentata rispetto ad altre vette, ma l'estetica della parete ha richiamato alpinisti da tutto il mondo, molti dei quali italiani.
La montagna, spartita tra Argentina e Cile, è stata battezzata così nel 1935 dal missionario salesiano Alberto Maria de Agostini, in ricordo dell'attivista cattolico Pier Giorgio Frassati, appassionato di alpinismo. La vetta è ubicata a nord del Cerro Torre e ha un'altezza indicata in circa 2700 metri; oggi come oggi la parte sommitale è in condizioni molto diverse rispetto a mezzo secolo fa, quando ancora guglie e speroni erano completamente ricoperti, con grandi formazioni nevose. La parete della nord ovest è la più estesa: circa 1000 metri, bisognerà attendere gli anni '80 per vedere i primi alpinisti trovare una via per la cima.
La prima importante salita è del 1963, per la parete est: gli argentini Jorge e Pedro Skvarca salgono uno sperone fino a pochi metri dalla vetta (un fungo instabile li fa desistere dalla scalata dell'ultimo tratto): 350 metri con pendenze fino a 70° e difficoltà di sesto superiore. La scalata impiega tre giorni, a novembre, utilizzando anche materiale lasciato dalle precedenti spedizioni (di vari club alpini nazionali), che a partire dal 1959 avevano tentato lo stesso itinerario. Prima degli Skvarca, a gennaio dello stesso anno, anche il trentino Cesarino Fava, in cordata con Augusto Mengelle aveva "quasi" salito il Piergiorgio, lungola cresta est: 400 metri con difficoltà di sesto superiore.
Sono proprio i racconti di Fava a stimolare nuove avventure: nel 1985, Mario Manica e Renzo Vettori, che puntano alla Poincenot, vengono "investiti" della missione da Cesarino: "Perché non il Piergiorgio? È un vero muro di una diga, ed è inviolato". I due hanno quattro corde in tutto, ma tanto entusiasmo e un'ottima preparazione. Superati i primi 600 metri dello zoccolo, trovano i resti delle corde di Marco Ballerini e Alessandro Valtolina, che hanno provato la via nel corso dell'anno precedente. I due trentini litigano con il meteo, il 19 novembre infine si decidono ad attaccare per risolvere la via. Il giorno dopo superano il chiave, 50 metri di VII+ e A1. Il 22 pomeriggio escono in cima al pilastro nord-ovest dopo una cavalcata di 800 metri. Chiamano la via Greenpeace.
Dieci anni dopo, Maurizio Giordani e Gian Luca Rampikino Maspes puntano dritti il centro della parete nord ovest: la linea ha un'estetica magnetica, la coppia riesce a salire ben 21 tiri per 600 metri prima di ritirarsi. L'idea è di tornare a completare l'opera durante l'anno successivo, quando i due però trovano le corde fisse distrutte e dopo una dozzina di tiri decidono di abbandonare il progetto. Nel frattempo un'altra forte cordata si è cimentata sul Piergiorgio per la parete nord ovest: Mauro Girardi, Lorenzo Nadali, Pietro Dal Pra e Andrea Sarchi hanno scalato la parete in una sezione più a sinistra rispetto Giordani e Maspes: 600 metri con difficoltà fino a 7a, A2 in artificiale; pochissimi chiodi utilizzati, spit solo per le soste. La via non punta alla cima ma sbuca sulla cresta nord est. Il team dedica l'itinerario a un alpinista basco scomparso pochi giorni prima, durante un tentativo sulla stessa parete, nasce così la Pepe Rayo.
Anche i Ragni di Lecco nel mentre hanno cercato (1994) di tracciare una propria via al centro della parete con Casimiro Ferrari, Mauro Girardi, Giuseppe Alippi ed Enrico Lanfranconi. L'anno successivo sono di nuovo al Piergiorgio Mario Conti, Giuseppe Lanfranconi, Manuele Panzeri, Andrea Spandri, Riccardo Milani, Antonio Taglialegne, Det Alippi, Mauro Girardi e Silvano Arrigoni. Affrontano la nord ovest con una dura scalata, in gran parte artificiale. Esperienza e freschezza atletica non bastano: la linea è repulsiva, il meteo ci mette "una pietra sopra". Parentesi: nel 1999 David Autheman e Michel Bordet aprono All you need is love (600m, A3, 5+) - prevalentemente in artificiale- sulla parete ovest. Nel 2003, di nuovo Ragni di Lecco in azione: ci sono Simone Pedeferri, Marco Vago, Alberto Marazzi, Adriano Selva, Daniele Bernasconi, Matteo Piccardi e Serafino Ripamonti, ma ancora una volta il meteo dice no, dopo pochi tiri.
Nel 2006 Maspes vince l'oscar della sfortuna, o della fortuna, a seconda della prospettiva da cui si vuole guardare la vicenda: viene travolto da una frana mentre è alla base della parete a effettuare le riprese dei compagni sulla "sua" via. I compagni di cordata sono Hervè Barmasse, Kurt Astner, Yuri Parimbelli ed Elia Andreola, la missione viene abortita. Mentre i Ragni di Lecco ci riprovano a più riprese, sono infine nel 2008 proprio Barmasse, questa volta con Christian Brenna (in spedizione anche Mario Conti e Giovanni Ongaro), a riuscire nella scalata del Piergiorgio: la Ruta de l'Hermano sale a destra della Giordani-Maspes, ha uno sviluppo di 1150 metri, con difficoltà fino a 6b+, A3, ma condivide con la via dei Ragni solo tre tiri, anche perché parte della via è scomparsa per la frana del 2006.
Altre vie sono state aperte (principalmente sulla ovest), altri tentativi sono stati effettuati, anche sulla nord ovest. Resta da completare la Giordani-Maspes, un obiettivo sicuramente di grande fascino e difficoltà. Vedremo che sviluppi ci saranno, ora che il CAI Eagle Team cercherà di completare l'opera.