© Camilla ReggioÈ mercoledì sera, ci troviamo quasi a metà della quarta settimana dell’Eagle Team in Valle Orco, e dopo due giorni di arrampicata in fessura sotto un vento gelido sono stanchina. Riccardo Volpiano sta cercando un compagno per scalare il Gran Couloir della Levannetta, ma nessuno sembra interessato. Domani, dicono le previsioni meteo, dovrebbe essere il giorno più freddo della settimana.
Il Gran Couloir della Levannetta è una di quelle salite che avevo in mente di ripetere dal 2020, da quando Umberto Bado e Giancarlo Maritano l’avevano aperta in autunno. Con Alessandra Prato pensavamo già di tentarla durante questa settimana di formazione, eravamo entusiaste soprattutto considerando che il meteo sul Monte Bianco non sembrava promettere miglioramenti e una bella goulotte era proprio quello che desideravo. Così, quando Riccardo mi ha proposto di legarmi in cordata con lui ho deciso di accettare. Prepariamo gli zaini, gli sci e ci infiliamo a letto. Alessandra ha altre idee di scalata e non parteciperà, però Matteo Sella si aggregherà a noi la mattina seguente.
Al primo chiarore dell’alba abbiamo già gli sci ai piedi, pronti ad affrontare quei 1200 metri di dislivello solo per arrivare all’attacco. Ammetto che ero preoccupata: Riccardo è un forte scialpinista e Matteo si sta preparando per la scalata del K2. E io? Io sono io, mi piacciono le grandi salite alpinistiche, ma non mi ritengo una “bestia nera” nell’endurance e nelle prove di resistenza. Per questo ho sempre il timore di spomparmi per tenere un passo di salita non delle mie corde. Però parto decisa e con un buon ritmo, anche se un po’ assonnata. Arrivati al Rifugio Jervis ci siamo fermati un istante ad ammirare la bellezza delle Levanne accarezzate dal sole, poi abbiamo attraversato un lungo pianoro dove la meraviglia mi ha quasi fermata. Senza accorgermene ho rallentato il passo per guardarmi attorno in contemplazione. Già solo essere lì mi riempiva di gioia. La giornata sembrava promettere bene, e con passo costante in 3 ore abbiamo raggiunto la base del canale, con il sole a riscaldarci le ossa. Ero ancora carica di energie, e anche le forze erano tornate, all’idea dell’imminente avventura. Il sonno era magicamente svanito e la curiosità di iniziare la salita effettiva incalzava l’adrenalina a scorrere nelle vene. Così, indossati imbraghi e ramponi, decidiamo di salire in conserva lunga con qualche protezione intermedia ogni tanto. Davanti stava Matteo.
La neve reggeva i nostri passi senza farci affondare troppo, e noi ci alternavamo nel condurre la cordata quando, dopo aver scalato qualche centinaio di metri, il tempo è cambiato improvvisamente. In pochi secondi il sole è stato completamente avvolto dalle nuvole, con un conseguente rapidissimo abbassamento di temperatura. Anche noi, in pochi secondi, abbiamo iniziato a recuperare dagli zaini ogni strato possibile, per riscaldarci e proseguire nella salita, che non risultava particolarmente difficile. Avanzavamo con costanza, piantando le picche e sollevando i piedi in modo quasi meccanico ma efficace nel proseguire sotto una leggera nevicata. Così abbiamo raggiunto la prima difficoltà: una neve inconsistente su roccette. Matteo, tornato ad essere il primo di cordata, dopo aver salito questa prima difficoltà ci ha recuperati su una sosta attrezzata con il nostro materiale. In quel momento la neve cadeva più densamente, con spindrift che fanno presagire una ragliata per i tiri successivi. Intanto l'aria diventava sempre più umida e fredda.
Durante la salita non avevamo visto soste attrezzate, utili per le calate, probabilmente erano sommerse dalla neve. Con noi avevamo del materiale da abbandono, ma non così tanto per i 4 tiri successivi e per le calate. Ci siamo così trovati di fronte a un bivio: continuare a salire, provare a concludere la salita nonostante la neve che scendeva a capofitto o tornare in dietro. Scelte mai facili per un’alpinista. Si dice che un buon alpinista è quello che torna a casa, ma niente lo conforta nel momento di delusione e auto-svalutazione mentre l'amarezza del fallimento si stringe allo stomaco. Senza dimenticare la beffa della neve che, poco dopo aver iniziato la discesa, ha smesso di cadere. Tornare a salire? Troppo tardi, ormai eravamo già sulla via del ritorno. Alla fine siamo giovani dal cuore spensierato e l'avventura è stata comunque meravigliosa. Inoltre, ci troviamo nella terra del Nuovo Mattino, e forse l'alpinismo eroico non è una cosa che ci appartiene. Così dopo una rapida discesa, tra calate su funghi di neve e disarrampicate, calziamo gli sci e in un batter d'occhio siamo già lì, a scambiare racconti e risate con i nostri amici, condividendo le esperienze vissute durante la giornata.
© Camilla Reggio