Bruno PederivaBruno Pederiva ha scritto grandi pagine del nostro alpinismo, a partire dagli anni '80 e fino ai giorni nostri. Nel 1982 liberò con Sergio Valentini la mitica via dell'Ideale (V-VI, con un passaggio di VII) alla Marmolada d'Ombretta, aperta da Aste e Solina 18 anni prima. Nel 1987, con Heinz Mariacher, una libera ancora più impegnativa: la via Attraverso il pesce, indicando difficoltà ben oltre l'ottavo grado (verrà successivamente data 7b/+) e con la chiodatura dell'epoca. Pederiva visse tutta l'epopea del freeclimbing ad Arco, ma non ha mai abbandonato l'alpinismo, spesso solitario. Ha praticato sci estremo e anche in anni recenti ha liberato vie di grande pregio, come la via dei Toni alla Torre della Vallaccia.
Quali sono i ricordi delle tue prime scalate?
Mi ricordo che mio padre mi portò sulla Torre Finestra e quando rientrammo alla base scesi sulle sue spalle, allora si faceva così. Ho fatto così anche io con la mia secondogenita a dire il vero. Comunque mi piacque. Poi a tredici, quattordici anni iniziai ad andare da solo. Avevo un compagno a Vigo di Fassa, faceva il panettiere. Ma andavo molto per conto mio, un po' per mancanza di soci, un po' perché quando mio papà aveva preso in gestione il rifugio Vajolet non c'era tanto tempo per organizzarsi. Quando avevo qualche ora libera andavo.
Sulla Eisenstecken della Rotwand © archivio PederivaAl di là della necessità, hai provato subito attrazione per la scalata in solitaria?
Mi è sempre piaciuto da solo, quando sei ispirato è la cosa più pura da un punto di vista “etico”, se vogliamo dire così. La mia prima solitaria “importante”? Ai primi di ottobre del 1981 ho fatto la Eisenstecken alla Parete Rossa (della Roda di Vael, ndr). Ero stato tutta la mattina ad allenarmi su un sasso a Pera di Fassa, ci vado ancora adesso, è alto una quindicina di metri. A un certo punto ho preso la moto e sono andato su. L'avevo percorsa in primavera, volevo farla in solitaria prima che venisse qualcun altro.
Come sei finito a scalare con Mariacher?
Un giorno lui era sulla est del Catinaccio, io avevo fatto lo spigolo aperto da Renato Reali, a sinistra dell'Olimpia. Mentre scendevo, Heinz stava facendo foto e mi ha aspettato, siamo andati a bere qualcosa al rifugio Preuss. Ci siamo conosciuti così e adesso sono 45 anni di scalate e amicizia.
In arrampicata ad Arco © archivio PederivaGuardando Arco oggi, ti saresti mai aspettato che sarebbe diventata quel che è grazie a voi?
No, anche perché per noi era un divertimento, andavamo lì quando in Dolomiti faceva troppo freddo. Mi ricordo che io stavo a Soraga da mia sorella e un giorno Heinz mi ha portato giù ad Arco. Con lui e Manolo io ero il ragazzino dei tre. Poi c'era Roberto Bassi, avevamo attrezzato alcune placche come la Spiaggia delle lucertole, Nuovi orizzonti, La gola. Eravamo stati in Verdon e a Boux, avevamo visto quello che facevano i francesi.
Ormai è entrato nella narrativa che il primo spit in valle del Sarca lo abbiate piantato voi...
Non so se è il primo, ma Mariacher nel 1982 aveva aperto con Bassi una variante d'uscita alla Renata Rossi (Specchio delle mie brame, 6b+, ndr). Era stata aperta dall'alto, poi seguirono tante altre chiodature. A La gola a Toblino non c'era niente, abbiamo attrezzato noi tre i primi tiri (nel 1984, ndr). Tursen (7b), 007 (7b+), Don Camillo (7a). Ora ci sono falesie dappertutto e anche l'amministrazione ha investito molto. Io ci vado di rado; ci sono stato con mia figlia, ma non amo tanto la confusione.
L'altra tua grande passione è lo sci.
Di pari passo con lo sviluppo dell'arrampicata di fondovalle avevo un amico che faceva discese estreme (Tone Valeruz, ndr). Aveva bisogno di un fotografo e così ci siamo trovati. Io ero un bociazzo, avevo degli sci da 2 metri e 10, una volta si andava con quello che si aveva. Lo sci estremo era una cosa nuova, ma Tone aveva le idee chiare, non aveva bisogno di qualcuno che gli segnasse la via. La est del Cervino, il couloir della Brenva sul Monte Bianco, la nord del Gran Zebrù che ha fatto nel 1999 e che nessuno ha mai più ripetuto, queste erano le sue idee e le mettea in pratica. Era molto avanti e io ho avuto il privilegio di andare con lui. A volte le nostre uscite sugli sci o le nostre salite venivano fuori quasi per caso. Mi ricordo che un giorno volevamo salire sulla nord dell'Ortles e si è staccato un grosso seraco pensile. Ci siamo ca***i addosso, ma il giorno dopo l'abbiamo salita solo con un cordino da cento metri e un cordino da ghiaccio. Si parla molto di preparazione, ma in realtà sfruttavamo le occasioni.
In cordata con Tom Ballard © archivio Pederiva
Nel 2018, con Tom Ballard, hai scritto ancora una bellissima pagina di arrampicata con la libera dello spigolo della Vallaccia.
Tom aveva fatto la via del Pesce in settembre e io avevo aperto una via con Mario Prinoth che arrivava fin dove iniziavano le difficoltà dello spigolo. Poi in val San Nicolò c'è stato un evento di uno sponsor e c'erano anche David Lama, Hasjoerg Auer. Ho detto a Tom: guarda che questi l'hanno visto, David mi ha chiesto com'è. E così ci siamo decisi e siamo andati, meritava davvero. Poi l'ho richiodata, così come è ora vanno in tanti.
Tom aveva un grande talento.
Le cose gli venivano in maniera naturale: era portato per l'arrampicata, lo sci, il dry tooling, era una questione genetica. Portava mia figlia, ci frequentavamo, ci siamo conosciuti un po' alla volta. Ho un bellissimo ricordo del Pesce, delle vie ripetute a San Nicolò. Era molto avanti rispetto a tanti altri, ha fatto una serie di scalate in solitaria che parlano per lui. Non cercava cose eclatanti, titoli. Scalava per sé.
Ora cosa ti piace fare oggi in montagna?
Ho fatto la guida in Dolomiti per una vita, ora mi sono spostato in Val Venosta, dove la professione ancora è considerata. Ho quache progetto in testa con la figlia, ci piace scalare insieme. Abbiamo due caratteri...ma quando non litighiamo andiamo molto d'accordo, o una o l'altra!