Bianco, di Sylvain Tesson

Lo scrittore viaggiatore francese ha compiuto la traversata delle Alpi con gli sci, da Mentone a Trieste, in compagnia di due amici, nell'arco di quattro inverni: 1600 km percorsi e oltre 60.000 metri di dislivello.
La copertina di Bianco, di Sylvain Tesson

Sylvain Tesson è un prolifico scrittore-viaggiatore francese autore di tanti reportage intimistici delle esplorazioni che compie in giro per il mondo, dalla Siberia alla Mongolia, dalla Francia alle Alpi. Proprio le Alpi sono protagoniste dell’ultimo libro, “Bianco” (pp. 264, 16,00 euro, Sellerio 2023), da poco uscito in Italia. È il racconto della traversata scialpinistica delle Alpi da Mentone a Trieste, per un totale di 1600 chilometri e più di 60.000 metri di dislivello, con punte oltre i 4000, su pendii anche di 55 gradi, compiuta in quattro inverni dal 2018 al 2021 nonostante la pandemia, in compagnia della guida Daniel Du Lac (con cui batteva le montagne da 15 anni) e dell’amico Philippe Rémoville.

Per capire “Bianco” si può utilizzare il metodo Walden, così definito dai Wu Ming 2 nella prefazione al più famoso libro di Thoreau, che analizzano sulla base di tre concetti chiave: essenzialità, humour e selvatico. Gli stessi che si ritrovano in “Bianco”.

Innanzitutto, l’essenzialità, che non è privazione, ma “punto di partenza per una nuova consapevolezza”, la certezza che l’uomo ha dentro di sé la capacità di cambiare. Tesson ne è la dimostrazione. Nel 2015, infatti, ha rischiato di rimanere paralizzato a causa della caduta accidentale dal balcone di un hotel: è l’incidente da cui è scaturito “Sentieri neri” (la versione italiana è del 2018), trasposto nel film “A passo d’uomo”, che sta girando nelle sale in queste settimane grazie alla collaborazione fra Wanted e CAI. Da lì Tesson sa che deve ripartire, perché si rende conto di aver smarrito se stesso, e lo farà attraversando la Francia dalla Provenza alla Normandia. Ne ha fatti tanti di chilometri nella sua vita, a piedi, in bicicletta e non riesce a smettere. Dopo la Francia, era seguita il Tibet della “Pantera delle nevi”, dunque l’idea di attraversare le Alpi con gli sci. Un’impresa titanica, resa ancor più difficile dalle indelebili conseguenze fisiche lasciate dall’incidente, e non sminuita dallo sporadico utilizzo di qualche impianto di risalita. Eppure, la quotidiana lotta contro l’elemento naturale più duro – bufere di neve, raffiche di vento, gelo spietato – conduce a una purificazione senza eguali. «Il soggiorno nei paesaggi innevati purga l’anima», scrive. «Respiri il Bianco, incidi la luce. Il mondo risplende. Ti riempi di spazio. E il lavaggio dello sguardo ti rischiara la mente». L’obiettivo principale è proprio quello di annullarsi nello sforzo, fondersi “nel Bianco” (nel libro è sempre scritto maiuscolo).

Giacomo Meneghello

La seconda colonna del metodo Walden è lo humour: non sono pochi 84 giorni da passare insieme, sebbene divisi in quattro anni, nemmeno per tre tipi affiatati e svegli come i protagonisti. Serve coraggio, un pizzico di follia, ma soprattutto serve un po’ di spirito. Non prendersi troppo sul serio, rifiutare ogni retorica da eroismo snobista. I tre amici si dilettano a distrarsi dalla fatica facendosi citazioni dotte (Baudelaire, Rimbaud, Hölderlin, ma anche Mummery e Napoleone), e sfoggiano un’indubbia erudizione in maniera leggera e scanzonata. Con loro dialogano la sera i libri che si portano dietro o che trovano nei vari rifugi, come ai Grand Mulets, a 3057 metri lungo il percorso storico di accesso al Monte Bianco da Chamonix, dove il custode Ludovico ha costituito una biblioteca con 500 volumi. Ma non c’è humour senza contraddizione, ricordano i Wu Ming citando le “Lezioni americane” di Calvino, e Tesson la coglie proprio nell’alpinismo che, spingendo l’uomo verso l’alto, al contempo gli ricorda che proviene dal basso. È lì che si annida il rischio di farci «credere che la posizione soprastante autorizzi a disprezzare il mondo sottostante». E invece, rimarca l’autore con lucidità, «l’essere al vertice non accresce mai il valore della persona. L’uomo non si trasforma. Quando raggiunge altezze meravigliose, vi trasporta la sua miseria … Lo scenario non ha alcun potere!». Quanta verità in queste parole. Stare in alto è senza dubbio meraviglioso, ci fa apprezzare il lusso della semplicità (una minestra calda dopo una giornata gelida, un rifugio mentre fuori tira vento, una stufa a cui scaldarsi), ma non deve mai indurre a scordarsi che la vita non si esaurisce nella fuga dal mondo

Selvatico, infine: per i Wu Ming 2 è questa la sintesi perfetta tra il materiale e lo spirituale della Natura, quella che all’uomo viene sempre più difficile attuare, per quanto la insegua spasmodicamente. E il selvatico per Tesson sconfina nel mistico: all’inizio del viaggio, infatti, prevale la sensazione di immensità selvaggia nel contatto privilegiato con una natura forte. Ma dopo quattro inverni, quella sensazione si evolve, i paesaggi non sono più scanditi dalle convenzioni, bensì da gesti funzionali alla sopravvivenza: una pagina dopo l’altra, ci immergiamo sempre più anche noi nel Bianco che – ormai si coglie – è maiuscolo perché non è semplicemente neve, ma sostanza universale di un sogno. Dentro a cui sono sgorgate riflessioni lucide, ma mai ciniche, né arroganti e, soprattutto, sempre dense di speranza. Un invito a mettersi in viaggio per cambiare lo sguardo sul mondo e su di sé.

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