Auguri al Club Alpino Italiano!

161 anni fa, la fondazione del Club Alpino, che nasce al Castello del Valentino di Torino il 23 ottobre 1863, esattamente due mesi e undici giorni dopo l’ascensione del Monviso.

Il Monviso © Pixabay

“Gli abitanti del Nord – scrive Quintino Sella a Bartolomeo Gastaldi dopo la salita del Monviso nell’estate del 1863 – riconoscono nella razza latina molto gusto per le arti, ma le rimproverano di averne pochissimo per la natura. Veramente chi avesse visto le nostre città pochi anni or sono, e considerata, ad esempio, la guerra spietata che si faceva alle piante, e il niun conto in cui si tenevano le tante bellezze naturali che ci attorniano, avrebbe potuto convenirne. Però da alcuni anni v’ha grande progresso… Ei mi pare che non ci debba voler molto per indurre i nostri giovani, che seppero d’un tratto passare dalle mollezze del lusso alla vita del soldato, a dar piglio al bastone ferrato, ed a procurarsi la maschia soddisfazione di solcare in varie direzioni e sino alle più alte cime queste meravigliose Alpi, che ogni popolo ci invidia. Col crescere di questo gusto crescerà pure l’amore per lo studio delle scienze naturali, e non ci occorrerà più di vedere le cose nostre talvolta studiate più dagli stranieri, che non dagli italiani”.

 

La nascita del Club Alpino

La lettera di Quintino Sella è come un manifesto per il Club Alpino (l’aggettivo “Italiano” sarà aggiunto solo nel 1867) che nasce al Castello del Valentino di Torino il 23 ottobre 1863, esattamente due mesi e undici giorni dopo l’ascensione del Monviso. Una quarantina di soci riuniti in assemblea approvano lo statuto e votano il primo consiglio di direzione. Spiccano i nomi di alcuni deputati del Regno, segno dell’evidente continuità tra alpinismo e politica, e un piccolo mondo di gentiluomini e studiosi che “evadevano dalle costrizioni della vita di città percorrendo le Alpi – osserva Massimo Mila, spesso con il pretesto di compiere studi geologici… A vederli oggi effigiati in fotografia, così autorevoli nei loro alti colletti duri, con la catenina d’oro sul panciotto, così precocemente anziani, secondo il costume ottocentesco, con le loro barbe e i loro mustacchi folti, si stenta a credere che fossero degli sportivi come noi, gente che aveva un soprappiù di energia da spendere e che probabilmente, appena si erano lasciati alle spalle le mura della città e le solenni dimore del patriziato torinese, si comportavano come scolari in vacanza, scherzavano, si canzonavano, dicevano delle sciocchezze, scoppiettavano di quel buonumore irresistibile che viene indotto dal sano esercizio fisico all’aria aperta”.

I primi alpinisti italiani erano tutto questo e anche il contrario. Univano l’ironia al puntiglio e la fantasia al rigore. Cresciuti in una terra – il Piemonte – dove il senso del dovere si fonde misteriosamente con il bisogno di avventura, avevano trovato nelle Alpi il terreno per esplorare terre e ideali inediti. Da ricercatori amavano la natura e le scienze ma da cittadini e politici servivano l’Italia, individuando nella montagna il modo più consono per fortificarne lo spirito unitario.

“Il forte sentimento ben presto agisce sull’intelletto – proclama Sella nell’agosto 1874 al VII Congresso degli alpinisti italiani; sorge la curiosità, il desiderio di sapere le cose e le cause delle cose e dei fenomeni che si vedono. Non si cercherà la ragione di ciò che si vede ogni giorno, l’abitudine crea l’indifferenza; ma gli spettacoli, i fenomeni straordinari che ordinariamente non si veggono, destano la curiosità e l’intelligenza umana. E così le montagne producono l’effetto dei lontani viaggi. Quante nozioni si imprimono fortemente nella mente, quanto desiderio di sapere, quanti propositi, anzi bisogni di studiare, d’indagare non si riportano nelle escursioni alpine! Quanti pensieri novelli si affollano alle vostre menti, comunque siate naturalisti, artisti, filosofi, letterati, ed in genere uomini colti!”

Il Club Alpino nasce e cresce su questi sentimenti, germinando discepoli. Nella seconda seduta del 30 ottobre 1863 la direzione del sodalizio elegge presidente Ferdinando Perrone di San Martino, che morirà l’anno successivo lasciando il posto a Bartolomeo Gastaldi, proprio lui, lo sfortunato escluso del Monviso e il destinatario della famosa lettera di Quintino Sella.