Picchio nero con prole © Wikimedia CommonsTra le tante storie di animali che ritornano nei nostri boschi, tra le nostre montagne e quindi fino attorno alle nostre case, focalizziamo oggi l’attenzione sul picchio nero. Se vi sono infatti tanti animali che l’attività umana mette in grande difficoltà, ve ne sono tanti altri che, principalmente per effetto dello spopolamento (e l’inselvatichimento) delle aree interne, riescono a riguadagnare terreno, e questo è probabilmente il caso del picchio nero, il più grande picchio della nostra fauna che, fino a qualche decennio fa, era segnalato esclusivamente nei grandi boschi alpini, abetaie e faggete, e in pochissimi “hot spot appenninici”, mentre oggi sta riguadagnando velocemente terreno un po’ ovunque.
Si tratta fondamentalmente di un uccello delle “foreste primigenie”, ricche di alberi vecchi e di legno morto, nel quale il picchio riesce agevolmente a predare insetti tamburellando e forando ripetutamente i vecchi tronchi con il suo potente sistema di percussione di cui il forte becco è solo lo scalpello finale. Se negli anni Settanta del XX secolo, di là dell’ambiente alpino e di alcune zone particolarmente intatte dei boschi della Calabria, le conoscenze generali suggerivano che il picchio fosse praticamente estinto nella gran parte delle regioni; nei decenni successivi la situazione è lentamente cambiata, in Abruzzo per esempio, sul finire degli anni Novanta, quando si discuteva di una sua possibile reintroduzione, il picchio nero è tornato a manifestarsi e a diffondersi. Ma è in particolare nell’ultimo decennio che questa specie, espandendosi dalle aree montane che le erano più congeniali e tradizionali, si è abbassata di quota ed è ormai segnalata in vari parchi e ambienti periurbani della pianura padana e sempre più anche in molte aree appenniniche.
Come si diceva in apertura non è una storia singolare, si pensi per esempio quella del lupo o dello sciacallo dorato (trattati anche in questa rubrica) o del ritorno delle varie specie di aironi; si tratta per lo più di fluttuazioni che le specie subiscono, in relazione al diverso utilizzo che l'uomo fa dei terreni e di come modella il territorio. In questo caso probabilmente ha pesato soprattutto il fatto che molti boschi, che erano stati azzerati a metà Novecento, erano giovani negli anni Settanta del secolo, negli ultimi decenni sono “maturati” diventando sempre più ospitali verso le specie più tipiche delle foreste mature (di cui il picchio ovviamente fa parte). Rimane ora un piccolo interrogativo legato alla ripresa piuttosto marcata dei tagli boschivi connessa alle recenti e perduranti crisi energetiche. Riusciremo a trovare un equilibrio sostenibile tra conservazione e sfruttamento di questo patrimonio boschivo riguadagnato negli ultimi 70 anni, e garantire così l’habitat alle specie che sono tornate a colonizzarlo?