Anna Torretta sul K2 © Anna TorrettaGuida alpina di Courmayeur, architetto, mamma e donna. Anna Torretta è stata protagonista della spedizione “K2 70” insieme a Federica Mingolla, Silvia Loreggian, Cristina Piolini, Samina Baig, Amina Bano, Nadeema Sahar e Samana Rahim. Più volte campionessa italiana di arrampicata su ghiaccio e vice campionessa del mondo nel 2006, coltiva sempre una grandissima passione per la montagna. Quella che l’ha spinta a farne una professione, ma anche la stessa che l’ha portata dalle Alpi All’Himalaya, dal nord al sud America, dove in una manciata di anni colleziona alcune delle vie di misto più dure al mondo.
Quest’anno, al K2, oltre a prendere parte alla celebrazione del 70esimo anniversario dalla prima salita, ha avuto l’onere di ricordare la guida Mario Puchoz, scomparso nelle prime fasi della spedizione del 1954 a causa del mal di montagna, lasciando una targa realizzata dalla Società delle Guide Alpine di Courmayeur e dall’Associazione Amici delle Guide di Courmayeur. “Mi sono sentita onorata e molto commossa nel porre il ricordo in questo luogo carico di spiritualità - racconta - dove riposano le anime e le memorie dei molti alpinisti deceduti sul K2”.
Anna, ci racconti com’è stato ritrovarti di fronte al K2 per la prima volta?
Abbastanza impressionante. È una montagna bellissima, perfetta, come la disegnano i bambini. La prima volta in cui lo vedi sei già a circa 4700 metri, al Circo Concordia, e ti appare subito ripido, tanto ripido. Per questa ragione anche i campi non sono comodissimi, campo 1 e campo 2 per esempio sono inclinati.
Quando l’hai approcciata?
Ho capito che è una montagna che richiede molto tempo, e noi non siamo state aiutate dalla meteo. Basti dire che abbiamo visto la montagna nei primi giorni in cui siamo state al campo, poi non siamo più riuscite a vederla senza nuvole a causa dei venti da sud che portavano continue perturbazioni. Solo negli ultimi giorni è cambiato il vento, e infatti c’è stata la finestra del tentativo di vetta.
Questa è stata la tua seconda esperienza su un Ottomila, dopo la spedizione al Cho Oyu…
Esatto. Questa volta non siamo state aiutate dalla meteo, io poi ho anche avuto altri problemi: non sono stata bene né a campo 1 né a campo 2. Può essere stata la quota, ma anche il fatto che ho bevuto dell’acqua sporca.
Silvia Loreggian e Anna Torretta, sullo sfondo il K2 © Anna TorrettaIn che senso?
I campi sono piccoli e non c’è molto spazio dove prendere la neve e dove fare i propri bisogni. Può essere stata questa la causa della mia nausea, come può anche essere stata la quota. Oppure un mix delle due cose. Infatti ora mi rimane la curiosità di provare a spingermi in altissima quota per comprendere cosa potrebbe accadere al mio fisico.
Questa è anche la ragione per cui non hai partecipato al tentativo di vetta?
Ho preso parte all’ultima rotazione, quando Federica e Silvia solo salite verso campo 3. Io mi sono fermata al secondo campo e poi sono scesa. Due giorni dopo era il momento di salire e tentare la vetta. Quando Federica e Silvia sono partite io mi sono detta: ok aspetto ancora un giorno che passi il mal di stomaco e poi provo a salire. Alla fine una serie di vicissitudini mi hanno portata a valutare sia le tempistiche, sia il fatto che avendo passato una sola notte a 7000 metri non sarei riuscita a raggiugere la cima.
Anna, sei da sempre impegnata nella promozione dell’alpinismo femminile. Da qui anche la tua scelta di partecipare alla spedizione “K2 70”?
Questa non è stata solo una spedizione femminile commemorativa, ma anche un primo passo per promuovere l’alpinismo femminile in Pakistan, per promuovere tra le donne la possibilità di diventare accompagnatrici e guide per le future spedizioni. In futuro ci saranno altri corsi di formazione per le donne, come già si sta facendo con gli uomini attraverso le iniziative portate avanti da EvK2CNR.
Senza dimenticare la componente scientifica, giusto?
Esattamente. L’obiettivo scientifico, con lo studio del corpo delle donne, è sempre stato al centro della spedizione. Gli esami fatti in quota e al campo base, più quelli realizzati presso il centro Eurac di Bolzano, prima e dopo la spedizione, aiuteranno a migliorare le conoscenze sulla fisiologia del corpo femminile. Argomento su cui esistono pochi studi e test, mentre sugli uomini negli anni sono stati raccolti molti più dati.
Anna Torretta deposita la targa dedicata a Mario Puchoz al Memorial Gilkey © Riccardo SelvaticoTerminata la spedizione, poco prima di lasciare il campo base, sei salita al Memorial Gilkey, per lasciare una targa commemorativa dedicata alla memoria di Mario Puchoz…
Mi sono sentita onorata nel porre il ricordo di una guida di Courmayeur in questo luogo così carico di spiritualità. Ci tengo anche a dire che erano quattro le guide di Courmayeur che hanno collaborato alla prima salita del K2. Mario Puchoz, che ha lavorato tanto per dare il suo contributo all’impresa, Sergio Viotto, Ubaldo Rey e Walter Bonatti, anche lui guida del Monte Bianco. Da parte della Società Guide e dell’Associazione Amici delle Guide la targa è stata un modo per ricordare una guida di cui parliamo sempre e che ricordiamo ogni giorno, basti dire che davanti alla sede della Società abbiamo il suo busto.
Il Memorial Gilkey è un luogo particolarmente suggestivo e molto spirituale. Ci sono targhe, scarponi, piccozze, e ricordi di chi ha perso la vita sul K2. E da lì lo vedi, lo vedi come lo vedevano 70 anni fa, perché è rimasto immutato a differenza del campo base che cambia con i movimenti del ghiacciaio.
In generale, tirando le somme, come reputi la tua esperienza in spedizione?
Sicuramente è stata una delle più belle spedizioni a cui abbia preso parte. L’organizzazione di Agostino Da Polenza, la simpatia di cuochi e portatori, la ricchezza e l’umanità delle compagne di spedizione. Una spedizione a 5 stelle dal punto di vista umano. L’atmosfera al campo base è stata di grandissimo aiuto per far passare in modo sereno le lunghe giornate. Devo dire che non mi sono quasi accorta del tempo che passava, insieme abbiamo smorzato il magone per la lontananza da casa.