Alt(r)i racconti. Michele Comi e la montagna che cambia

La guida alpina e geologo: «Siamo miopi: se un inverno nevica, ci dimentichiamo dell'emergenza. Tutto è piegato al volere dell'uomo»

Michele Comi abita a Valmalenco, tra le montagne di casa fin da quando era bambino. È guida alpina e geologo da metà anni '90, dal 1989 maestro di sci. 

La sua esperienza lavorativa su più fronti è preziosa nell'avere uno sguardo sulla montagna che cambia, anche in maniera repentina e violenta. Ripensando alle piste da sci di quarant'anni fa, è difficile non accorgersi del mutamento. «Ho vissuto il cambiamento epocale dello sci da discesa: dalla valanga azzurra a un'attività outdoor per tutti che si è avviata verso la modernità, con la neve artificiale. Al tempo si tentava di tamponare la situazione con quella che veniva chiamata “neve tecnica” e che ora è diventata l'unico modo per continuare a sciare. Quarant'anni fa si sciava a mille metri di quota, ora quelle piste sono fuori portata. Nel compenso si va a cercare la neve sempre più in alto e le piste sono diventate velocissime. Una volta erano tortuose e gibbose, ora sono delle autostrade. Ci sono più regole ma anche più frequentazione e più problemi».

In cima al Disgrazia © Michele Comi

Per Comi, al di là dell'osservazione ci sono dati molto semplici da interpretare e che sono impossibili da ignorare. «Banalmente, c'è un elemento incontrovertibile che è il termometro. Sappiamo quello che accade, è sotto gli occhi di tutti e infatti alla fine le piste vengono realizzate sempre più in alto. Se aggiungiamo che abbiamo una memoria da “criceti”, alla fine non percepiamo l'emergenza climatica nella sua gravità. Per esempio, l'anno scorso abbiamo avuto un inverno caldo e arido e tutti si sono accorti dei problemi. Quest'anno è stato comunque caldo, ma umido, e quindi il problema è stato meno percepito, ci aggrappiamo a tutto per non pensarci».
Il caso della pista scavata tra i ghiacciai di Zermatt e Cervinia è emblematico di un modo di pensare la montagna a uso esclusivo dell'uomo. «Quelli sono accanimenti terapeutici. In generale, al giorno d'oggi la tecnica permette di fare cose quasi senza limite, ma la natura poi ti presenta il conto. Ci sono tre “esse” che spiegano bene il paradosso a cui siamo arrivati riguardo alla neve: spara, spalma e spala. Ormai ci sono addirittura le snowfarm: producono neve che poi viene immagazzinata e spalmata sulle piste. Ma poi c'è anche il Giro d'Italia che arriva in quota e allora la neve va spalata via. Insomma, tutto gira intorno alle nostre necessità o ai nostri capricci».
Se a quota neve non si sta bene, più in basso o dove la neve non c'è più non si sta tanto meglio. I crolli, le frane, gli smottamenti sembrano essere aumentati. «Qui bisogna fare un po' di chiarezza: i processi erosivi ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Le Alpi sono destinate a sgretolarsi, certamente i cambiamenti in atto mostrano che gli eventi si stanno intensificando. Le precipitazioni si concentrano in periodi brevi, che si alternano a periodi siccitosi. A quote medio alte i cicli di gelo e disgelo non seguono più un andamento stagionale tra novembre e aprile, le oscillazioni marcate caldo-freddo sono molto intense e repentine. Si passa continuamente dallo stato solido allo stato liquido, aumenta il volume e l'effetto martinetto che spacca le rocce. La frana sul Piz Scerscen in Svizzera è un caso di studio: sia per le dimensioni, ben cinque chilometri, che per la quantità d'acqua liberata. C'era acqua di fusione in cima al Bernina, che poi si è infiltrata in mezzo alle fratture. Sulle nostre montagne avvengono cose nuove e a distanza di settimane e mesi si vedono gli effetti».
Anche l'attività in montagna è cambiata, anche se ci sono resistenze di abitudini passate. «Ormai l'arrampicata su ghiaccio è una rarità. Alcune cascate non ghiacciano più: rimangono quelle più in alto e girate all'ombra. Oppure non durano tutto l'inverno, o il ghiaccio è più fragile. E anche per noi guide alpine le cose sono cambiate: la programmazione è più difficile, spesso devi cambiare itinerario all'ultimo momento».
A livello personale, dopo avere girato il mondo Comi è in una fase di riscoperta dei luoghi a lui più vicini. «Ho sempre fatto coesistere molte cose; mi alterno tra tutte le discipline, anche se ho una piccola predilezione per la scalata. Oggi come oggi ritrovo curiosità nello riscoprire le montagne, le scalate vicino a casa, piuttosto che la collezione di trofei. Il Bernina con le grandi salite della parete sud, il granito della Val Masino, il Disgrazia». Ma è soprattutto l'aspetto di compartecipazione che interessa a Michele. «La guida alpina intesa come mediatore culturale è quanto mi sta più a cuore. La montagna declinata in tutti i modi è uno strumento generativo per favorire processi educativi e formativi. Il nostro compito secondo me non è trascinare sacchi inermi di persone da qualche parte, ma aiutare a far conoscere la montagna nella sua ricchezza, anche quella più facile, alle persone».