Il Jôf di Montasio © Wikimedia CommonsNelle Alpi Giulie sopravvivono faticosamente gli ultimi tre ghiacciai: il Ghiacciaio del Montasio, l’unico ancora definibile ghiacciaio, e del Canin orientale, in Italia; e quello del Triglav, in Slovenia. Questi ultimi due sono ridotti a poche placche sparse di neve e ghiaccio.
“La contrazione di questi ghiacciai, oramai classificabili come glacio-nevati, è una prova diretta del cambiamento climatico nelle Alpi Giulie” afferma Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico e professore dell’Università Milano Bicocca. “Si tratta di corpi glaciali piccoli e ad una quota estremamente bassa se rapportati al resto del sistema alpino, che risentono dell’innalzamento della quota delle piogge, ormai anche durante la stagione invernale”. Quella dell’innalzamento della quota di pioggia e neve è una caratteristica riscontrabile non solo nelle Alpi Giulie, ma estendibile a tutto l’arco alpino. Così come la maggiore alternanza e durata dei periodi secchi, e la concentrazione delle precipitazioni in eventi singoli di intensità maggiore
I ghiacciai delle Alpi Giulie
I tre ghiacciai costituiscono appena il 5% del volume glaciale che le Alpi Giulie avevano nella Piccola età glaciale. In particolare, il Ghiacciaio del Canin, in Friuli-Venezia Giulia, è passato da una superficie di 9,5 ettari negli anni 50 a 1,4 ettari, pari a poco più di un campo da calcio. E lo spessore medio del ghiaccio, che agli inizi del Novecento superava in alcuni punti i 90 metri, oggi arriva appena agli 11 metri.
Stessa sorte quella del Ghiacciaio del Triglav, in Slovenia che, nonostante sia quello posto alla quota più elevata nelle Alpi Giulie (2700 metri), ha registrato un’importante perdita di superficie passando da 40 ettari (dal 1946) a circa a 0,2 ettari nel 2022, riducendosi del 98%.
Pur essendo situato molto più in basso (1900 metri) resiste ancora, invece, il Ghiacciaio del Montasio (con superficie di 7 ettari, 0,07 chilometri quadrati); a giocare a suo favore l’esposizione settentrionale che gli garantisce ombra, gli accumuli di valanghe e le elevate precipitazioni, nell’inverno 2023-2024 pari a 8 metri di neve.
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La quinta tappa della Carovana dei ghiacciai
In questa tappa, passando dal Parco nazionale del Triglav a quello Naturale delle Prealpi Giulie, Legambiente ricorda che in Italia meno della metà delle zone glaciali si trova in aree protette – tra gli strumenti più efficaci per tutelare la biodiversità, contrastare la crisi climatica e promuovere lo sviluppo sostenibile dei territori e comunità – e lancia una road map con 5 azioni per garantire una maggiore tutela della biodiversità in alta quota:
Avviare un piano di monitoraggio della biodiversità degli ambienti glaciali integrato con specifici piani di adattamento ai cambiamenti climatici per le singole specie e/o habitat.
Definire una rete ecologica adattativa, che tenga conto dei futuri scenari climatici, per favorire la continuità spaziale degli habitat e delle popolazioni o la possibilità di flussi genetici tra popolazioni.
Porre attenzione agli impatti antropici che minacciano la biodiversità e le pratiche di copertura dei ghiacciai con teli geotessili.
Intensificare gli sforzi per creare nuove aree protette anche nelle zone glaciali per il raggiungimento dell’obiettivo di tutelare, attraverso strumenti giuridicamente vincolanti, almeno il 30% del territorio entro il 2030.
Sviluppare nuove strategie per migliorare la protezione in situ di questi ecosistemi per garantire la loro esistenza e funzionalità ecosistemica, come ricorda la recente risoluzione delle Nazioni Unite che dichiara il 2025 Anno internazionale dei ghiacciai e il Global Biodiversity Framework.
“Con la scomparsa dei ghiacciai la Terra sta perdendo uno dei suoi più grandi ecosistemi” dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di CIPRA Italia. “Ma non vanno persi di vista gli habitat emergenti, che rappresentano enormi cambiamenti e pongono nuove sfide per la conservazione dell’alta quota, tuttora sottovalutata poiché protetta solo in minima parte, ancorché sconosciuta. Senza un’accurata conoscenza della biodiversità glaciale e delle aree proglaciali insieme al monitoraggio nel tempo, entrambi propedeutici alla tutela, non potremo capire gli effetti negativi che avrà la scomparsa dei ghiacciai sul funzionamento degli ecosistemi e quindi anche sul nostro stile di vita”.