Sciliar e Alpe di Tires © Denis PerilliCome descrivere la variante altoatesina del Sentiero Italia CAI? Facile! Il percorso si snoda letteralmente dentro una “cartolina” fotografata e distribuita mille volte. Dopo aver lambito le alture della Val di Cembra e della Val di Fiemme, l’ideale linea su cui appoggiare gli scarponi accarezza le sghembe e slanciate architetture dolomitiche del Latemar, del Catinaccio, dello Sciliar, del Sassolungo, del Puez e del Sella. La dominante assoluta è verticale, e non potrebbe essere altrimenti fra le linee sovente idealizzate di queste sensazionali montagne.
Si sarebbe pure potuto disquisire di geologia, delle innumerevoli leggende tramandateci da Karl Felix Wolff, del Lago di Carezza, ma la chiave di lettura mi sembrava troppo scontata. C’è una componente che differenzia l’area dolomitica dell’Alto Adige da quella trentina e da quella veneta, sempre in riferimento al tracciato del “nostro lungo sentiero” che unisce le grandi isole al Golfo di Trieste. È una prerogativa ambientale che sembra voler coraggiosamente sfidare il solenne e quasi altezzoso ostentamento delle verticalità rocciose: gli altopiani. Qui la geologia entra prepotentemente in gioco, mostrandoci didatticamente come l’erosione selettiva abbia modellato in maniera decisa alcune rocce vulcaniche, metamorfiche e sedimentarie secondarie (rideposizione di materiali più antichi) e maggiormente faticato nello scalfire le rocce calcaree e dolomitiche. Non sempre è così, a volte le cose possono andare nel verso opposto, dipende dal susseguirsi di molti fattori ed eventi. La natura fatica a farsi incasellare secondo le nostre limitate e limitanti regole. Passo di Oclini, Altopiano dello Sciliar, Alpe di Tires, Alpe di Siusi, Puez e poi Pralongià oltre il passaggio veneto sull’abitato di Arabba: luoghi così simili e così diversi.
In cammino verso l'Alpe di Tires © Denis PerilliOclini, Siusi e Pralongià portano insita una vocazione turistica che li rende poli d’attrazione sia estiva che invernale, il tutto ben amalgamato da una storia di “addomesticamento ambientale” che ha richiesto del tempo, delle fatiche, delle conquiste e dei compromessi. Qui il paesaggio culturale emerge chiaro, si vede la mano dell’uomo che ha lavorato quanto Madre Natura gli aveva generosamente donato. A volte, osservando con l’occhio lento del camminatore, si ha la forte impressione è che la pressione di questa mano si stia spingendo oltre, ma sono queste considerazioni che meriterebbero ben altro spazio e contesto. Sta di fatto che la meraviglia è sempre tanta e merita di essere degnamente e consapevolmente celebrata. Ci sono poi lo Sciliar, con il suo profilo iconografico che disegna l’orizzonte a est di Bolzano e l’Alpe di Tires, che raccorda lo stesso con le distese di Siusi. Luoghi di leggende che stanno sopra al limite altitudinale arboreo e che han visto di conseguenza meno interventi antropici. Il Puez è l’unico che si stacca, sotto tutti i profili, nettamente dagli altri altopiani, essendo un acrocoro calcareo solcato da stupefacenti erosioni carsiche, con colorate marne e bianchi calcari che sembrano proiettarci in un pianeta e in un tempo sconosciuti.
Verticale e orizzontale, due dimensioni che si antepongono e contemporaneamente si compenetrano per valorizzarsi a vicenda, confini spaziali che forse hanno senso di esistere solo nella nostra testa fino al momento in cui non ci lasciamo semplicemente guidare dai nostri passi.
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Luci autunnali dal Pralongià © Denis Perilli