Il Monviso © Pixabay
Alessandro Tranchero gestisce il rifugio Quintino Sella al Monviso insieme alla moglie Silvia da una decina d'anni, ma in realtà vive all'ombra del Re di Pietra da quando è bambino. Le prime stagioni che ricorda risalgono a meta anni '70, quando aveva 4-5 anni e la struttura non era ancora passata attraverso le ultime due ristrutturazioni che l'hanno portata a essere come la conosciamo oggi. Hervé, il papà di Alessandro è salito oltre 300 volte in cima al Monviso come guida alpina, mentre la madre Giordana cucinava per i tanti avventori del rifugio. Gli occhi e il cuore di Alessandro conoscono e vivono questa montagna da diversi punti di vista, anche perché lui stesso è membro del soccorso alpino.
Che identità ha oggi il Quintino Sella?
Quella delle decisioni che abbiamo preso io e mia moglie, sull'impronta della gestione quasi cinquantennale della mia famiglia. Posso dire che una delle scelte è stata quella di non metterci la faccia, nel senso che non sentirai mai dire che questo è il rifugio “da Alessandro e Silvia al Monviso”. È il rifugio Quintino Sella e lo rimarrà sempre, perché la storia di questo luogo inizia con Quintino e la struttura è un riferimento da sempre per la gente del luogo.
E la gente è rimasta la stessa?
L'utilizzo del rifugio una volta era molto diverso da adesso. Un tempo il 90% erano alpinisti e il resto escursionisti, ora gli alpinisti saranno forse un terzo. La platea è aumentata molto, le persone che frequentano la montagna anche, così come il modo di venire in montagna.
Il rifugio è diventato un punto di arrivo, mentre prima era un punto di partenza?
No, direi piuttosto che il Quintino Sella è un punto intermedio. Questo rifugio ancora non è una meta, anche perché non vogliamo che sia così. Ci teniamo al fatto che sia un presidio. E se è diverso quello che offriamo rispetto a un tempo, fin dalla comunicazione che forniamo vogliamo fare capire che questo non è un albergo, non è un ostello. Ci piace fare attenzione agli ospiti, sorridere e farli sentire benvenuti. Ma qua la vita è comunitaria, vince la priorità delle persone sul soldo. Certe cose non le puoi avere solo perché paghi e non ci interessa strutturarci in quel senso. Qui vanno condivisi energia, acqua, spazio, tempo. A tavola mangi insieme ad altre persone, la disponibilità delle docce è limitata, si dorme in camerata. Sarai sempre insieme a qualcun altro che non conosci. Certo, rispetto a quando ero bambino io, lo spazio disponibile nelle camerate per ogni persona è diverso. E poi c'è la refrigerazione, il che vuol dire che si possono conservare i cibi, mangiare prodotti freschi, mangiare meglio.
© Facebook Alessandro Tranchero
La gente va ancora in montagna per il semplice gusto di andare in montagna?
Sì, anche se magari fanno cose diverse rispetto a un tempo. Come alpinismo e anche come trekking.
Parlando con un altro rifugista, in Dolomiti, mi ha detto che dopo il Covid si è vista molta gente, probabilmente meno preparata rispetto a un a volta. E che bisogna dare loro tempo di imparare.
Si nota entusiasmo ed è vero che bisogna avere pazienza con chi si affaccia a questo mondo. È difficile capire chi hai davanti, dare le informazioni giuste. Ma il nostro mestiere richiede proprio la capacità di capire chi hai davanti. È una cosa che pretendo anche dai miei collaboratori. Io non voglio che diano consigli, ma che mi sappiano riferire se le persone sono bene o male equipaggiate, se sembrano in grado di capire le condizioni della montagna e regolarsi di conseguenza. Perché invece mettere in guardia le persone sui pericoli a cui vanno incontro è fondamentale, poi ognuno è responsabile per sé stesso.
Forse una volta si imparava già da bambini, l'esperienza arrivava prima anche tramite gruppi organizzati o semplicemente in famiglia.
Può essere, oggi c'è bisogno di cultura della montagna. Che non è un parolone, ma semplice conoscenza, che si ottiene con l'esperienza. Non per forza la guida, va bene anche l'amico esperto, a patto che lo sia davvero.
Considerando tutto questo nuovo entusiasmo intorno alla montagna, aprire d'inverno qua è utopia?
Ci ho pensato, ma non riusciamo. Per come è il rifugio innanzitutto: grande, difficile da scaldare. E poi siamo in una posizione dove le condizioni ambientali sono troppo mutevoli. Dovresti fare un'opera informativa costante e non è detto che verresti ascoltato. Troppi rischi.
Uno stambecco in posa davanti al Quintino Sella © archivio rifugio Quintino Sella
Arrampicata sportiva e alpinismo divergono sempre di più. È difficile trasmettere che in alta montagna il grado che puoi avere in falesia conta poco?
Il terreno di alpinismo che hai qua è molto selvaggio, severo. Può anche essere un terzo grado, ma devi avere sempre lo sguardo rivolto in alto a quel che succede, oltre a saperti orientare mettendoci del tuo. Purtroppo però c'è anche molta gente che fa alpinismo e che vuole la pappa pronta. E qua invece volutamente gli itinerari sono poco segnati, non vogliamo pitturare la montagna. Fa parte del bagaglio di un alpinista sapere come muoversi, ma oggi a molta gente non interessa, anche agli alpinisti stessi.
Molta gente si informa su internet. Non sarebbe meglio fare come una volta e domandare di persona, prima di andare a fare qualcosa in montagna, piuttosto che leggere relazioni di cui non si conosce l'autore?
A inizio di questa estate tutti i giorni avevo gente persa in via. Ma non chiedono, hanno mille relazioni tutte uguali, tutte copia-incolla. Forse dovremmo metterci noi a editare le relazioni, a pubblicare.
Non è una cattiva idea. Relazioni aggiornate e...certificate, sui siti dei rifugi. Perché no?
Sarebbe un lavoro [ride, ndr] anche se l'idea non è male. Comunque il punto è sempre quello: bisogna informarsi, e imparare un po' alla volta.
Certo è che bisogna fare esperienza per imparare...
Sì, bisogna farsi le ossa, sono d'accordo. Ma in tanti non c'è più spirito di rinuncia, il problema è quello. La rinuncia viene vista come fallimento, bisogna portare a casa la salita a ogni costo. Perché il tempo è poco e bisogna capitalizzare ogni opportunità. Ma in montagna non funziona così e per farsi le ossa spesso sulle cose bisogna tornarci. E bisogna avere il gusto di provare, più che di portare a casa.
D'altro canto voi rifugisti non siete nemmeno dei censori, e non volete nemmeno esserlo.
Ma certo! Una cosa che mi capita di dire sovente è che per fortuna in montagna non ci sono regole e ognuno si costruisce le sue. L'importante è non fare le cose con leggerezza, in maniera inconsapevole. Ma la libertà è la cosa più bella che la montagna può offrire!