Afghanistan 1974: il CAI Bovisio Masciago ai confini della Terra

Nel 1974 il CAI di Bovisio Masciago organizzò una spedizione alpinistico-esplorativa in Afghanistan, tra le remote vette dello Shiwa Lake. A 50 anni di distanza, quella grande avventura resta una testimonianza di spirito pionieristico.
I componenti della spedizione © Fabrizio Delmati

La ricorrenza tonda tonda dei 50 anni, in realtà, è caduta nel 2024. Ma una storia così vale comunque la pena di rievocarla, anche indipendentemente dagli anniversari.

Stiamo parlando della spedizione in Afghanistan del Cai di Bovisio Masciago, anno 1974!
Oggi immaginare e realizzare spedizioni in ogni angolo del mondo è cosa impegnativa, ma tutt’altro che impossibile: basta una semplice domanda a Mr Google per trovare mappe, relazioni e informazioni in abbondanza.

Negli anni Settanta anche documentarsi sulle vie delle Alpi non era cosa scontata, figuriamoci cosa poteva voler dire progettare una spedizione in uno dei luoghi più remoti dell’Asia.

Pochi alpinisti fino ad allora avevano visitato le montagne dell’Afghanistan e la catena dell’Hindu-Kush, pochissimi gli italiani.

Nel 1965 il Ragno di Lecco Romano Perego e il suo inseparabile compagno di scalate, l’Accademico torinese Andrea Mellano, erano stati fra i primi a recarsi in Afghanistan con obiettivi alpinistici, realizzando una spedizione a dir poco leggera e portando a termine in quasi perfetto stile alpino due prime ascensioni di cime di oltre 6000 metri. Un’impresa decisamente avveniristica per quel tempo!
Due anni dopo fu la volta della spedizione della sottosezione Sucai del Cai Torino, cui prese parte anche il fuoriclasse Guido Machetto, dando così il via alla sua lunga storia d’amore con le montagne dell’Hindu-Kush. Poi la spedizione del Cai Roma, nel 1971, guidata da Carlo Alberto Pinelli.

Ben pochi nomi dei pionieri italiani sulle piste montane dell’Afghanistan, ma che nomi!

 

Alcuni componenti della spedizione © Luigino Airoldi

La spedizione

A fronte di tutto questo, il progetto della piccola sezione Cai di Bovisio Masciago poteva apparire un sogno fin troppo ambizioso, ma i suoi soci ci credevano davvero: sognavano un’avventura senza compromessi di quelle che non cominciano alla base di una montagna, ma già nel momento in cui si prepara la valigia, carica di incognite e aspettative.

Due le destinazioni fra cui scegliere: a est del territorio afghano, verso il remoto Whakhan o a nord, verso le terre raccontate da Marco Polo e la misteriosa area dello Shiwa Lake, ancora quasi del tutto inesplorata dagli occidentali e di cui non si sapeva praticamente nulla, se non che c’erano vette inviolate anche di 5000 metri. Sarà proprio l’aura di mistero che circondava quest’ultima zona a determinare la scelta finale.

Le difficoltà burocratiche per ottenere i visti sono molte, complicate dal clima politico instabile dell’Afghanistan, ma grazie al sostegno dell’Ambasciata afgana di Roma anche i permessi infine arrivano e finalmente il 3 luglio del 1974, arriva il momento di salire sull’aereo.

Il gruppo è composto da Guido Della Torre, scalatore di prim’ordine e direttore della scuola di alpinismo della sezione, Alfredo Arnaboldi, Romeo Arienta, Don Francesco Ceriotti, Piero Comelli, Fabrizio Delmati , Luciano Lovato, Augusto Rigamonti e uno special guest: il Ragno di Lecco Luigino Airoldi, conosciuto nel mondo alpinistico come “lo zingaro delle montagne”, che, forte dei legami di amicizia con la sezione brianzola, ha pensato bene di non lasciarsi sfuggire l’occasione per un ennesimo viaggio ai confini della Terra.

Dopo un lungo volo via Roma, Beirut e Teheran, il team atterra a Kabul, accolto dall’amico e missionario Padre Angelo Panigati. L’Afghanistan è un territorio immenso e desolato, sembra un mondo alieno e lontanissimo. Nonostante le sue oltre 30 spedizioni in ogni parte del mondo, ancora oggi Luigino Airoldi non esita a rievocare quella “zingarata” come una delle più memorabili di tutta la sua vita: terribile l’incontro con la povertà di quella gente apparentemente dimenticata dal mondo, eppure capace di un’ospitalità spontanea e generosa, incredibile pensare che quegli stessi luoghi avevamo visto nei millenni il passaggio degli eserciti di Alessandro, delle carovane sulla via della seta, di profeti epellegrini, che lì avevano lasciato i segni della loro fede, come i grandi budda scolpiti nella pietra della valle di Bamiyan, gli stessi che nel 2001 verranno distrutti dalla follia iconoclasta dei taleban.

Trasportando le attrezzature nel deserto © Archivio Luigino Airdoli

Comincia l'avventura

Un nuovo volo interno conduce il gruppo presso la cittadina di Faizabad, capoluogo del Badahkschan. Un’altra trafila di permessi e finalmente comincia l’avventura lungo piste polverose su autocarri sgangherati, attraverso villaggi isolati e paesaggi di grandiosa e austera bellezza, fino al paese di Borak. Da qui in avanti non ci sono più strade, ma solo sentieri. Si prosegue a piedi, con viveri e attrezzature trasportati a dorso d’animale. Il 15 luglio la spedizione installa il campo allo Shiwa Lake. Inizia finalmente l’attività alpinistica. Gli inevitabili contrattempi però hanno rallentato la marcia e i giorni a disposizione sono pochi: non c’è tempo per dedicarsi agli obiettivi che erano stati originariamente pensati. Gli scalatori comunque non rinunciano a portarsi a casa qualche bella salita è vengono raggiunte quattro vette inviolate che superano abbondantemente i 4000 metri. Le difficoltà non sono estreme, ma gli avvicinamenti e i dislivelli sono sempre notevoli e l’isolamento è totale.

Più delle montagne, però, è l’incontro con quella terra e con la sua gente che rimarrà nel cuore dei nove membri della spedizione, oltre all’emozione indimenticabile dell’esplorazione di un’area allora quasi ignota agli alpinisti europei.