Una forte nevicata scendeva su Milano, quel pomeriggio del 28 gennaio 1972 a ricordare le
amate montagne. Morì così Dino Buzzati, a 66 anni, dopo una lunga malattia. Le sue ceneri sono sparse sulle Dolomiti, protagoniste dei suoi sogni come scrigni del mistero.
Già nel 1956 scriveva: “Per capirle, le Dolomiti, veramente, occorre un po’ di più. E non vogliamo dire arrampicate in piena regola. Bastano i sentieri. Entrare, avventurarsi un poco fra le crode, toccarle, ascoltarne i silenzi, sentirne la misteriosa vita”.
Le rocce dei Monti Pallidi erano parte del suo immaginario fin da ragazzino, quando frequentava il gruppo bellunese della Schiara e, dopo la guerra, le Pale di San Martino.
Ma negli scritti di Buzzati il mondo verticale non appare mai fedele riproduzione della realtà.
Le Terre alte sono piuttosto avvolte in un
clima rarefatto e sospeso. La stessa atmosfera di
smarrimento, interminati spazi, ed infinita attesa del
Deserto dei Tartari.
Ancora tradotto in tutto il mondo, letto nelle scuole, argomento di numerose tesi di laurea, i temi dello scrittore bellunese, attuali allora, lo sono anche oggi e lo saranno in futuro.
Buzzati amava
rompere gli schemi, farsi beffa della razionalità, utilizzare
due diversi livelli narrativi: quello
reale e quello
simbolico. Nei quali il tempo della montagna è uno stato di coscienza, rappresentazione del bello e del buono, ma anche del mistero e dell’inintelligibile.
Tra le tante iniziative in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa di Dino Buzzati,
Enrico Camanni, scrittore ed alpinista, gli ha dedicato il primo episodio del podcast
Storie in bilico, realizzato con Matteo Bellizzi e Lara Giorcelli.
“Chi ha dato tanto alla montagna, chi per la montagna ha rischiato con tanto accanimento la vita, a questo amore resterà legato per sempre.”
Dino Buzzati