35 anni senza Jerzy Kukuczka, il ricordo della moglie Cecylia

Il ricordo di Jerzy Kukuczka, leggendario alpinista polacco, rivive nelle parole della moglie Cecylia, 35 dopo la sua scomparsa sulla sud del Lhotse.
Jerzy Kukuczka

Sono passati trentacinque anni da quel tragico giorno in cui una corda usurata spezzò la vita e i sogni di Jerzy Kukuczka, uno dei più forti himalaysti di ogni tempo, mentre tentava di scalare la parete sud del Lhotse. Jerzy, il "secondo" dopo Messner a scalare tutti i 14 Ottomila in meno di otto anni e primo a scalare quattro di queste vette d'inverno, era un talento fuori dal comune. Un uomo spinto da una passione irriducibile, che portava dentro di sé una visione della montagna e della scalata che lo portavano alla continua ricerca di nuovi obiettivi, come dimostra la continua ricerca di tracce inviolate sugli Ottomila, anche dopo la fine della sua corsa alle 14 vette.

Con la sua scomparsa Kukuczka ha lasciato un grande vuoto, non solo nella comunità alpinistica, ma anche e soprattutto tra le persone che lo amavano. Per questo sua moglie, Cecylia, ha deciso di trasformare la loro piccola casa in un museo utile a mantenerne viva la memoria, anche tra le nuove generazioni.

 

Un amore eterno

“Ci siamo incontrati per caso, in un bar" racconta Cecylia. "Era il suo compleanno e stava festeggiando con due colleghi, mentre io ero andata a chiacchierare con un amico. Notammo un tavolo vicino, e ci avvicinammo per chiedere se potevamo sederci. Uno dei presenti era Jurek”. Quella sera nacque la loro storia, una connessione immediata: “I suoi occhi mi colpirono profondamente. Avevano qualcosa di speciale: erano saggi, sognanti, caldi e pieni di mistero. Fu lui ad accompagnarmi a casa, e da lì iniziò la nostra relazione, così profonda che siamo finiti per innamorarci l'uno dell'altra”.

Cecylia Kukuczka davanti alla statua in onore di Jerzy. © Archivio Cecylia Kukuckza

La montagna: una passione insaziabile

Nel tempo, Cecylia comprese che per suo marito la montagna era essenziale quanto il pane. “Quando ci siamo conosciuti, non sapevo quanto fosse radicata in lui questa passione. L’ho capito poco a poco, imparando che le vette lo attraevano come una calamita” spiega. La loro relazione si basava su fiducia e tolleranza, elementi indispensabili per poter condividere una vita con un uomo perennemente attratto dall’estremo. “Era una vita felice e piena di sorprese" ricorda con un sorriso.

“Ricordo bene le separazioni lunghe e infinite" dice Cecylia, "ma anche la gioia indescrivibile di ogni suo ritorno. Ho sempre creduto che sarebbe tornato dalle montagne, e questo mi ha dato forza e perseveranza". Dopo la scomparsa di Jerzy, Cecylia ha deciso di portare avanti la sua memoria, trasformando la loro casa in un piccolo museo. “È un lavoro difficile" ammette, “ma è il mio modo di onorarlo. Sono felice che ancora oggi molte persone vengano a conoscere la sua storia. È il premio più grande che potessi immaginare”.

 

Il messaggio ai giovani

Il museo non è solo un luogo di ricordi. “Ai giovani voglio trasmettere un ideale" dice Cecylia. "Li esorto a perseguire i propri obiettivi, a non temere i fallimenti e a mantenere sempre la fiducia in se stessi. Come gli alpinisti, devono imparare ad affrontare i problemi con determinazione e dignità. Anche oggi, gli scalatori hanno un grande esempio nella vecchia generazione, e in particolare in Jurek, che ha dimostrato come sia possibile raggiungere ciò che sembra impossibile”.

Guardando al presente, Cecylia osserva come la figura di Jerzy e degli alpinisti polacchi degli anni Ottanta e Novanta abbia lasciato un segno profondo. “Gli alpinisti di allora erano eroi” spiega. “Affrontavano le sfide con una forza straordinaria, alzando il livello dell’himalaysmo”.