Sull’Eiger, nel 1938, si chiude la stagione esplorativa delle Alpi. Ormai scarseggiano le pareti, è finita un’epoca. Scende il buio della Seconda guerra mondiale, si combatte, si uccide, si ricomincia. Dopo la guerra l’alpinismo trasloca in Himalaya: il terzo Polo. I mitici ottomila dell’Asia sono sigilli di supremazia per i vincitori e sogni di riscatto per i vinti, offrendo nuove sfide e infiniti terreni di avventura. Così le nazioni si spartiscono i tetti del pianeta: l’Annapurna ai francesi nel 1950, l’Everest agli inglesi e il Nanga Parbat ai tedeschi nel 1953, il Cho Oyu agli austriaci.
A noi tocca il K2, considerato la montagna degli italiani fin dalle esplorazioni del Duca degli Abruzzi all’inizio del Novecento. La spedizione viene affidata al geologo di ferro Ardito Desio, grande conoscitore del Karakorum, che la gestisce come un’operazione militare ricevendo l’incondizionato appoggio del governo e del Club Alpino Italiano. Fa scalpore l’esclusione di un fortissimo come Riccardo Cassin, che evidentemente era personalità in grado di offuscare il primato e l’autorevolezza di Desio. Viene invece incluso nel gruppo il giovane Walter Bonatti, astro nascente dell’alpinismo.
Ciò che interessa Desio e ciò che vuole la nazione è prima di tutto la vittoria sulla seconda cima della Terra, che arriva, puntuale, il 31 luglio 1954.
Quando arriva la notizia, in Italia si fermano le fabbriche, si canta di gioia, si riunisce tutto il paese. A decine, aprono bar intitolati al K2, la magica sigla capace di evocare emozioni esotiche e far sognare un popolo afflitto dalla povertà e voglioso di ripartire. Achille Compagnoni e Lino Lacedelli diventano eroi nazionali, Desio viene portato in trionfo come un generale di ritorno dalla guerra. Paolo Monelli scrive su La Stampa: «Per quel tricolore legato al manico di una piccozza piantata sulla più alta vetta del mondo che fosse tuttora inviolata, oggi noi italiani andiamo per via come ci fossimo messi un fiore all’occhiello, con passo più alacre, con cuore più lieve».
Ma non è tutto oro quello che luccica e le polemiche sulle ultime fasi della spedizione divamperanno per cinquant’anni, opponendo Bonatti a Compagnoni e Lacedelli. Una sorta di verità storica sarà ristabilita solo all’inizio del nuovo millennio grazie a una commissione voluta dal Club Alpino Italiano, che sostanzialmente dà ragione a Bonatti: «Il campo nove sul K2 venne arbitrariamente spostato da Compagnoni e Lacedelli da un punto programmato a un altro punto posto assai più in alto e difficilmente raggiungibile dall’alpinista Bonatti e dal portatore Mahdi, incaricati di portare a quella quota le risorse d’ossigeno per la salita finale; vi fu inspiegabile carenza di comunicazioni tra Compagnoni-Lacedelli e Bonatti-Mahdi, i quali si trovarono costretti a bivaccare di notte nella tempesta a circa 8150 metri d’altitudine, a gravissimo rischio di sopravvivenza…».
Che cosa è successo? Perché è passato tanto tempo prima di ristabilire una parvenza di verità? Il fatto è che c’era in gioco molto più di un’ascensione: il K2 era diventato un "affare di stato". Quando uomini come Cassin e Maestri vengono scartati dal gruppo dei prescelti vuol dire che c’è in ballo qualcosa di ben più forte del fine sportivo o del sogno alpinistico. E infatti c’era in gioco il futuro di un paese affamato di riscatto sulla scena internazionale: l’Italia del dopoguerra.