24 maggio 1915: la guerra sale in montagna

Nel maggio del 1915 l’Italia entra in guerra contro l’Impero austro-ungarico, aprendo un fronte spietato tra le vette alpine. Una tragedia umana e climatica, combattuta oltre i duemila metri, tra gelo, solitudine e morte.
Soldato in Adamello, nel 1916 © Wikimedia Commons

Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra contro l’impero austro-ungarico. Una pazzia collettiva, la più folle mai architettata dai signori della guerra: dalle creste dell’Ortles alla Carinzia, passando per gli altipiani e il fronte dolomitico, centinaia di chilometri di montagne scoscese, innevate, ghiacciate, battute dalle frane e dalle valanghe diventano il golgota degli alpini e dei soldati del Kaiser. Su una cresta altissima e senza vita convergono uomini, o meglio ragazzi, destinati a combattere non tanto contro i fucili e i cannoni, quanto contro la solitudine, il freddo e il gelo del cuore. Abitano i deserti di pietra gli stessi valligiani che per secoli hanno esorcizzato i pericoli dell’alta montagna, e con loro, a battere i denti e a sognare la casa lontana, giungono altri sventurati giovani di Sicilia, Sardegna, Campania, Lazio, Toscana, Romagna, tutti ragazzi di pianura, di costa o di colle. Gli uni contro gli altri schierati, i soldati italiani e i combattenti per l’Impero cominciano a popolare la zona proibita – è sono i primi esseri umani di ogni tempo –, là dove non si spinge neppure il pino nano e dove il capriolo non sale mai, nemmeno quando il caldo dell’estate secca le zolle erbose. Duemila, tremila, tremilanovecento metri sulla cima dell’Ortles. Estate, autunno, inverno: cominciano tre inverni infiniti.

 

Soldato nelle viscere della Marmolada © Wikimedia Commons

La guerra d’alta montagna

Il 24 maggio 1915 gli italiani corrono alla guerra convinti di cogliere lo straniero di sorpresa e di scacciarlo rapidamente nelle valli del nord, ma presto si accorgono di aver perso tempo e di avere sottovalutato le truppe imperiali. Proprio non ci si aspettava un nemico così ben equipaggiato, e raffinato conoscitore delle Alpi, pronto da settimane a rispondere all’offensiva degli alpini dall’alto delle postazioni. Il comando supremo austro–ungarico conosce le regole della guerra di montagna, dove chi arriva per primo può sparare come dal tetto di una casa di cento piani. Con mentalità rigidamente teutonica, le truppe del Salisburghese, del Tirolo e del Vorarlberg sono state minuziosamente addestrate ai combattimenti in quota, e anche i tedeschi si sono affrettati a creare un corpo alpino speciale, il Deutsches Alpenkorps, con reparti bavaresi, prussiani e badensi. Quattrocento chilometri di creste, dal giogo dello Stelvio al Passo di Monte Croce Carnico, sono stati presidiati come una fortezza dagli Schützen (i tiratori) e dagli Jäger (i cacciatori), tempestivamente annidatisi sopra i duemila metri d’altezza anche per risparmiare ai villaggi e alle città del Tirolo le atrocità dei combattimenti. È l’unico vantaggio della guerra d’alta montagna: il fuoco sale sulle creste. Per chi combatte è un calvario.