Gian Carlo GrassiIl primo aprile 1991 muore sul Monte Bove, nei Sibillini, il poliedrico alpinista piemontese Gian Carlo Grassi. Quando cade è solo, su un terreno abbastanza facile. L’ultima cornice di neve. Il fato. A Torino non ci vogliamo credere, perché Grassi era come gli elfi della foresta e apparteneva alle favole senza tempo, pur rifiutando i miti e gli eroi della montagna.
Nato a Condove (Torino) nel 1946, Gian Carlo era stato uno dei tanti ragazzi valsusini destinati a una vita di provincia. Non ricco, non appariscente, non particolarmente dotato. Invece, iscrivendosi alla severa Scuola di alpinismo Giusto Gervasutti e cominciando ad arrampicare, aveva intrapreso una nuova vita, scoprendo orizzonti che gli riempivano gli occhi e tutto il resto.
Comincia molto giovane, con un enorme casco sulla testa. Lo deridono, chiamandolo Calimero. Inizia metodico e testardo con i classici itinerari di media e alta quota, poi la roccia, le ascensioni invernali, le vie nuove. Inarrestabile, sempre guidato dalla passione e dall’immaginazione. Partecipa da protagonista al movimento del Nuovo Mattino e alterna la “nuova” arrampicata con l’alpinismo tradizionale, cambiandolo. Supera gli esami da guida alpina e diventa un mestiere. Alla fine degli anni Settanta, l’amore per il ghiaccio e l’amicizia con il monregalese Gianni Comino ne fanno un alpinista di livello internazionale. Insieme salgono itinerari incredibili sulle cascate di ghiaccio del Monte Bianco e perfino sui seracchi. Ovunque il gelo indichi una via. Mentre il Nuovo Mattino va snaturandosi nell’arrampicata sportiva, scoprono mattini di cristallo e sogni congelati. Quando Comino precipita sul seracco della Brenva nel 1980, Grassi continua a cercare i propri sentieri sulle Alpi, nelle Ande, in Patagonia, in Himalaya e nell’America del Nord. Intensifica, accelera. Scala in ogni parte del mondo con l’entusiasmo del ragazzo assetato di conoscenza. È un professionista anomalo, perché fatica a distinguere tra la passione e il guadagno. È capace di tornare da una durissima via del Monte Bianco per correre a giocare su un masso della Valsusa, fino alle ultime energie in corpo. Per lui il grande alpinismo e il bouldering sono sostanzialmente la stessa cosa, una magica natura di roccia creata per essere esplorata e scalata dall’uomo. Gian Carlo continua a sognare anche quando la fantasia perde il potere, fedele fino all’ultimo alla sua visione. Inimitabile.