Matteo De Zaiacomo e Chiara Gusmeroli © Matteo De ZaiacomoNovecento metri di via per 26 tiri complessivi. Sono questi i numeri di “Azzardo Estremo”, la nuova via aperta da Matteo De Zaiacomo, presidente dei Ragni di Lecco e Chiara Gusmeroli sullo Sckem Braq, una montagna di oltre 5300 metri che si trova nella Nangma Valley, in Karakorum (Pakistan).
Partiti a inizio agosto, con il sostegno del Club Alpino Italiano, con l’ambizione di esplorare la valle e mettere mano sul granito ancora poco battuto della valle di Nangma, Matteo e Chiara avevano in mente tre destinazioni principali: l’Amin Braq, lo Shingu Charpa e il Drifika. La speranza era quella di riuscire a portarsene a casa almeno uno, ma alla fine è stata la montagna a decidere per loro.
Matteo e Chiara, come nasce quest’ultima spedizione?
Matteo: non ricordo il momento esatto in cui vidi per la prima volta la foto dell’Amin Braq. Penso fosse una decina di anni fa. Ricordo però che l’avevo stampata e che volevo fare questo viaggio, per poterla osservare con i miei occhi. Così, quest’anno, quando con Chiara siamo tornati dalla Patagonia abbiamo iniziato a immaginare qualche progetto estivo, e quella foto è rispuntata fuori dai ricordi. Prima di partire ci siamo informati, su quali potevano essere gli altri obiettivi in zona. Devo dire che siamo partiti senza particolari aspettative.
Chiara: mi ha sempre affascinato l’idea di scalare in Pakistan. Così quando con Matteo è nata questa idea, di raggiungere una valle poco conosciuta e frequentata, mi sono entusiasmata.
Il Pakistan è spesso complesso a livello logistico, rispetto ad altri Paesi. Nel vostro caso com’è andata?
Chiara: Siamo stati fortunati. Abbiamo scelto di muoverci in una zona con un avvicinamento breve, solo un giorno. Devo dire che è stata la scelta migliore, non avendo a disposizione tutto il mese, ma solo 3 settimane. Il giorno dopo aver raggiunto Skardu siamo entrati nella valle e abbiamo percorso il trekking che ci ha portati al nostro campo base, a circa 4000 metri. Rispetto a quello che pensavo l’acclimatazione è stata più lunga del previsto, quasi una settimana in cui ci siamo dedicati a fare camminate e fotografare le pareti, alla ricerca del nostro obiettivo.
Alla fine che obiettivo avete individuato?
Matteo: Volevamo salire su una montagna abbastanza evidente, che vedi anche dal fondovalle. E più Sali, più la montagna si fa grande e vedi questa parete meravigliosa, liscia, che solletica all’idea di metterci le mani. Siamo quindi entrati nella valle con l’idea di aprire una via sullo Shingu Charpa. Poi, durante la fase di acclimatazione, abbiamo visto da vicino le pareti dello Sckem Braq. Ci sembrava attraente e così abbiamo pensato di ultimare il nostro acclimatamento aprendo una nuova via qui. Dopo saremmo andati sullo Shingu Charpa.
La parete © Matteo De ZaiacomoCom’è andata?
Matteo: fin da subito si è rivelata una scalata emozionante, sostenuta, con fessure bellissime. Salendo però ci siamo trovati a fare i conti con fessure sempre più piccole e sporche, cosa che ci ha fatto desistere, almeno in quel momento.
Alla fine però questo è stato il vostro obiettivo…
Matteo: si, perché già mentre ci acclimatavamo avevamo visto una grossa frana cadere dallo Shingu Charpa, probabilmente a causa delle alte temperature. Poi, tornando al campo, una seconda frana ha interessato la parete ovest, dove avevamo in mente di salire. A questo punto io e Chiara ci siamo guardati negli occhi con mille domande. Così abbiamo deciso di lasciar perdere questo progetto per concentrarci sullo Sckem Braq e sulla via che già stavamo provando. Un progetto che si è rivelato molto più difficile di quello che sembrava, con un risultato veramente bello.
Cos'è successo durante la scalata?
Matteo: abbiamo avuto tiri veramente complicati, che hanno richiesto anche 3 ore e mezza per risolvere 20 metri di sezione. Senza dimenticare il nostro bivacco in parete in meno di un metro quadro alla fine della prima giornata di salita. Al mattino sarebbe dovuto essere sereno e invece, ha iniziato a nevicare, ma siamo saliti lo stesso.
Diciamo che non avete ambito alla cima più semplice…
Matteo: esatto. Anche se sicuramente è una delle montagne più evidenti della Nangma Valley. Qui abbiamo avuto il privilegio di confrontarci con una natura inviolata.
Chiara: dopo aver raggiunto la cengia mediana con il materiale, il secondo giorno abbiamo arrampicato 6 tiri ripidi e difficili. Questa è stata una giornata complessa perché durante la scalata abbiamo visto sotto di noi una frana enorme investire esattamente le lunghezze percorse il giorno prima. Abbiamo lasciato una corda fissata solo sul tiro dopo la cengia, bagnato e troppo pericoloso per continuare a rifarlo. Dopo aver riposato in tenda durante una giornata di maltempo, il giorno successivo siamo saliti risolvendo la parte più ripida e tecnicamente difficile della via, con un singolo tiro che ci ha impegnato per più di 3 ore. Quella sera abbiamo bivaccato su una cengia minuscola e al risveglio ci siamo ritrovati avvolti da una bufera di neve. Ma non ci siamo fermati, abbiamo continuato verso la cima. Per fortuna la giornata si è poi rivelata splendida e dopo le foto di vetta siamo scesi.
La traccia della via © Matteo De ZaiacomoCom’è andato il rientro?
Matteo: arrivati in cengia abbiamo trovato la nostra tendina distrutta da una frana. Questa cosa ci ha fatti pensare: abbiamo dormito li per tre notti, chissà cosa sarebbe potuto succedere. Il resto del nostro materiale anche era ridotto male a causa dei colpi ricevuti dai massi in caduta.
Un’esperienza intensa, che dite?
Matteo: sicuramente! Ma siamo super orgogliosi di quanto siamo riusciti a fare. Siamo partiti in due, senza la possibilità di avere un piano in B nel caso in cui uno di noi fosse stato male. Una spedizione che è anche stata un po’ un azzardo, dove ci siamo messi in gioco con la montagna. Siamo partiti con il nostro zaino e siamo arrivati in cima con le nostre forze, in stile alpino. È stato come vedere condensarsi una serie di eventi vissuti negli, di esperienze, che in pochi giorni ci hanno permesso di riuscire sulla parete, fidandoci l’uno dell’altro.
Chiara: Non avendo mai vissuto questo tipo di esperienza è stata una grande sfida. L’unica altra spedizione a cui ho partecipato è stata quella in Patagonia, di quest’inverno. Ma qui la logistica è completamente diversa. Sei isolato e sai di poter contare unicamente su te stesso e sul tuo compagno. A questo va aggiunta poi la componente quota, ero curiosa di capire come il mio corpo si sarebbe adattato. In generale sono soddisfatta, mi è piaciuto vivere questo contesto dove sei in una bolla e devi pensare a come gestire il tutto. Qui senti ancora il valore dell’esplorazione.
Il nome della via, “Azzardo Estremo”, nasce dal vissuto?
Matteo: quando siamo partiti abbiamo infilato nelle sacche un paio di libri: “La montagna di luce” di Peter Boardman, e “Azzardo estremo” di Joe Tasker. Volevo che chiara li leggesse, per entrare nel mood, e anche a me ha fatto piacere trascorrere così il tempo al campo base. Una volta rientrati dalla vita, mentre stavamo festeggiando con la torta, pensavamo al nome da dare alla via. Tra le mani avevamo “Azzardo estremo” di Tasker, e ci è sembrato il nome giusto. Un po’ per le tribolazioni vissute, un po’ perché come Tasker e Boardman anche noi eravamo soli. A metà tra il vissuto e la poesia. Ci permetti un’ultima cosa?
Certo!
Vorremmo ringraziare tutti quelli che hanno creduto in noi, a partire dal CAI e dal suo presidente generale, Antonio Montani. Siamo contenti che il CAI abbia scelto, da un lato, di sponsorizzare la grande spedizione al K2 per i 70 anni dalla prima salita, ma siamo anche contenti che abbia scelto di supportare un progetto come il nostro, a metà tra l’esplorazione e l’arrampicata.
Un grande ringraziamento va anche al gruppo Ragni e a tutti gli sponsor, senza dimenticare le nostre famiglie. Un saluto speciale al fratello di Chiara, Valerio, che ci ha deliziati al campo base con la Cupeta tipica valtellinese.