
«Scalare una montagna di oltre 7.000 metri con un calcolo renale e uno stent uretrale». È da questo paradosso che prende forma Noi Markhor – Storia di una scalata al monte Spantik, il nuovo libro di Emanuele Anceschi, in uscita il 28 marzo. Un’opera che segna il passaggio dell’autore dalla saggistica alla narrativa, mantenendo però il filo conduttore del viaggio come strumento di conoscenza.
Nell’estate del 2023, Anceschi ha raggiunto la vetta del monte Spantik (7.027 metri), nel cuore del Karakorum pakistano, in condizioni fisiche estremamente delicate. Il libro ripercorre la preparazione atletica e mentale, il lungo avvicinamento al campo base, la scalata e il ritorno, dando spazio a una narrazione sincera, dura, a tratti brutale, ma sempre autentica.
Il focus non è sulla difficoltà tecnica della salita, che l’autore definisce “relativamente semplice” nonostante l’altitudine e i rischi oggettivi del percorso, quanto sullo sforzo mentale richiesto per affrontarla in quelle condizioni. «Essere duri con se stessi in ambienti estremi», scrive Anceschi, è l’unico modo per trasformare una prova di sopravvivenza in un momento di crescita interiore.
Freddo, crepacci, insonnia, nausea, perdita di appetito e disidratazione sono solo alcuni degli ostacoli affrontati lungo il cammino. Ma la vera sfida, racconta l’autore, è quella contro il proprio limite, contro il corpo che dice basta e la mente che non vuole arrendersi.
Il libro si muove su due livelli: da un lato il racconto alpinistico, dall’altro una riflessione sul rapporto tra individuo e società. La montagna diventa allora metafora di resistenza, un luogo “autentico e puro, rifugio dalle scorie della società di massa, sempre più virtuale, frenetica e disumanizzante”. Lontano dall’apparenza, vicino all’essenza.