“Avrei voluto riprovarci” Silvia Loreggian racconta il tentativo al K2

Sul K2 Silvia Loreggian si è fermata poco oltre campo 3, a causa di forti dolori allo stomaco che l’hanno portata a rinunciare alla vetta. Ma una volta tornata al campo base, già sognava di poterci riprovare.
Silvia Loreggian in salita sul K2 © Silvia Loreggian

Laureata in Geografia e Turismo, Silvia Loreggian è un’amante degli spazi aperti e di quel mondo verticale fatto di pareti da scalare, magari nei luoghi più remoti del pianeta. Padovana di origine, oggi vive a Chamonix dove, con il suo compagno Stefano Ragazzo, svolge l’attività di guida alpina. Silvia è stata una delle protagoniste della spedizione “K2 70”, la prima spedizione femminile italo-pakistana al K2, nata per celebrare il 70esimo anniversario dalla prima ascensione alle montagna. Tra le più forti del gruppo ha preso parte, insieme a Federica Mingolla, al tentativo di vetta, poi abortito poco oltre campo 3. “Quando sono rientrata al campo base, nonostante il grande affetto di tutte le persone che ci aspettavano, mi sono sentita sconfitta, come se avessi deluso le loro aspettative” ci racconta. “La mattina dopo, quando ho aperto la tenda e mi sono trovata il K2 davanti mi sono detta: ci devo riprovare. Purtroppo non c’è stato il tempo”.

 

Silvia, com’è stato partire per provare il K2?

Prima di partire lo vedevo come qualcosa di impossibile, poi ho capito che finché non ci metti il naso e scopri cosa significa non hai la certezza di poter dire “si può fare”. Nel mio caso le sensazioni che avevo hanno iniziato a placarsi non appena iniziato il trekking. In quel momento mi sono detta “ok, sta iniziando, mi sto avvicinando”.

 

Quando l’hai visto per la prima volta?

Mi sembrava enorme. Mi ha soprattutto impressionato la parte finale, per quanto svetta. Quando poi ti fermi e inizi a guardarla con calma, analizzandola, capisci che un po’ alla volta, con pazienza, potresti riuscire a salirlo. Non dico che sia facile, anche perché non sono arrivata in cima, ma osservandolo e poi mettendoci i piedi sopra con le prime rotazioni è stato utile a capire come funzionano queste montagne.

 

Come funzionano?

Ho capito quanto queste montagne siano all’80% acclimatamento e al 20% preparazione fisica. A casa potevamo coltivare solo la seconda, quando siamo arrivate al campo base avevamo una preparazione altissima mentre l’acclimatazione era a zero. Anche perché dal punto di vista tecnico non parliamo di una salita complessa, se fatta con le corde fisse. Ovviamente c’è un abisso tra avere le corde e non averle. Nel primo caso una volta che attacchi la jumar e metti i ramponi, poi si tratta di avere pazienza e andare pianissimo camminando o prestando attenzione dove si affrontano i tratti più verticali. 

 

Quindi, la vera chiave è l’acclimatamento, giusto?

Esatto. Io sapevo, per esperienza su cime di seimila metri, che il mio corpo non si acclimata facilmente. Infatti ho dovuto fare due rotazioni a campo 1, due a campo 2, e ho sempre avuto alcuni problemi di mal di testa e di nausea. Questo senza dimenticare le condizioni meteo che abbiamo vissuto durante quasi tutta la spedizione: per un mese quasi non siamo riuscite ad andare oltre campo 2, non siamo riuscite a salire più alto per poter perfezionare la nostra acclimatazione. Infatti va detto che tutte le persone che hanno raggiunto la vetta del K2 senza utilizzare le bombole di ossigeno avevano anche il permesso di salita del Broad Peak. Una grande fortuna, perché così hanno potuto fare in modo più agevole alcune rotazioni sopra i 7000 metri. Anche Benjamin Védrines, che ha realizzato il record di salita al K2, aveva il permesso per il Broad Peak, anche se non l’ha mai utilizzato. Però è arrivato al campo base prima di noi.

Silvia Loreggian e Federica Mingolla preparano l'attrezzatura © Riccardo Selvatico

Che quota avete raggiunto durante la fase di acclimatazione?

Io e Federica siamo riuscite a raggiungere i 7000 metri, dove abbiamo passato 4 ore chiuse in tenda, con tempo brutto fuori. Da qui siamo scese al campo base e due giorni dopo siamo partite per il tentativo di vetta.

 

Cosa pensi che sia andato storto durante il tentativo?

Probabilmente non abbiamo fatto in tempo a recuperare dalla rotazione precedente. A quelle quote, quando scendi e ti ritrovi 2000 metri più in basso con tanto ossigeno, ti rigeneri, ti sembra quasi che la fatica svanisca. Ma in realtà il corpo è debilitato dallo sforzo, anche se non te ne rendi conto. 

Per quanto riguarda la mia esperienza penso che le cause siano state queste, oltre alla velocità con cui siamo salite e al mal di stomaco, che mi ha accompagnato fin dall’inizio. Sono salita fin dove potevo.

 

Hai provato anche ad andare oltre campo 3…

Arrivata a campo 3 ci siamo fermate per la notte, ma non sono riuscita a recuperare. Nonostante questo al mattino ho provato a salire ancora un pezzo, ma sono stata male come il giorno prima, così ho preso la decisione di tornare indietro. Il mal di stomaco mi stava mangiando l’esofago e non ci ho visto altre alternative. Con le ore non era cambiato nulla, ed ero lontana dalla cima.

 

Com’è stata la discesa?

Impegnativa, stavo male, dovevo fermarmi continuamente. Durante la discesa mi sono trovata più volte a pensare a come avrei potuto scendere se avessi continuato.

Poi, arrivati al campo base, tutti ci hanno accolto con un affetto incredibile. Per me è stato totalmente inaspettato. 

 

Come mai?

Mi sentivo sconfitta, come se avessi deluso le loro aspettative. Per questo il mio inconscio non mi faceva immaginare un’accoglienza così calorosa. Lo stesso è successo sempre, ogni volta in cui tornavamo da una rotazione era una grande festa, come se tornassimo dalla nostra famiglia dopo anni di assenza. 

Silvia Loreggian durante un test © Eurac Research - Andrea De Giovanni

Quindi c’era un bel clima al campo base?

Io sono contenta dell’esperienza e di come è l’ho vissuta. Sono contenta dell’ambiente conviviale, dell’atmosfera che si è creata, del gruppo che si è creato e anche di tutte le persone che popolavano il campo base e che mi hanno regalato anche solo un sorriso, o con cui si è creato un legame intenso e profondo. Si era tutti lì per lo stesso obiettivo. Poi ognuno sale con il suo stile, con le sue idee, ma dopo ci si ritrova al campo base, tutti insieme. Avere il tempo di stare al base, di condividere, è stato bello. Penso che il mio star bene dipendesse anche dal fatto che le persone che erano con me stavano bene.

Ci hai detto prima che già il mattino dopo il tentativo di vetta avresti voluto riprovare la vetta. Ora che sei tornata, ti piacerebbe provare un altro Ottomila o tornare al K2?

Prima di partire affrontavo questa cosa come una sfida per me stessa. Quando ero al campo base la vedevo come una missione di gruppo. Ora devo dire che mi si è riaccesa la sfida personale, ho capito che ho le capacità per farlo e ho anche imparato quali sono i modi migliori per farlo. Tirando le somme, mi piacerebbe ritornare ma penso che debba passare del tempo.  Ora ho altri progetti a cui voglio dedicarmi.